Mestre Antica

Vecchie immagini di storia di Mestre

Approfondimento – Via della Brenta Vecchia

Ritorniamo sull’approfondimento circa la “Brenta vecchia”, o “Brentella”. Ne avevamo già parlato qui

L’alveo della Brenta Vecchia bonificato – mappa del 1750

Riportiamo oggi da StoriAMestre

Riportiamo il secondo degli interventi tenuti da Claudio Pasqual il 13 settembre 2013, presso la Casa del Volontariato di Mestre, in occasione dell’incontro Mestre per noi, legato alle iniziative del Settembre mestrino solidale. Facendo seguito alla descrizione della via com’è oggi, Pasqual presenta alcune notizie sulla sua storia, per concludere su “storie di socialismo e storie di Risorgimento” (questo il titolo originale della relazione). 

1. Ma perché questa via ha questo nome, perché si chiama Brenta Vecchia? Perché tra la metà del Cinquecento e la fine del Seicento parte del sedime della strada e degli edifici odierni fu occupato da un corso d’acqua. Allontanare i fiumi dalla laguna, o ridurne la portata, dei grandi ma anche dei piccoli, perché non la interrassero con i loro detriti: un’autentica ossessione per i veneziani; persino un fiumicello come il Marzenego, che superata Mestre sfociava in laguna a Cavergnago, luogo troppo vicino alla loro città – persino il Marzenego era considerato un pericolo. Perciò fu compiuta, nel 1507, la diversione dell’Osellino. E sempre per lo stesso motivo, a integrazione di tale intervento, il celebre idraulico Cristoforo Sabbadino progettò lo scavo di un canale, il nostro canale, che staccandosi dal Marzenego nel Borgo di San Lorenzo ne convogliasse parte delle acque nel Bottenigo, piccolo rio che scorreva a sud di Mestre per andare infine a perdersi fra le barene di San Giuliano. Nel 1520 il Serenissimo Governo autorizzò l’opera, a metà Cinquecento la “cavanuova” era pronta. Passato qualche anno, il canale prese nelle carte il nome di “brentella”: si tenga presente che qualsiasi corso d’acqua era chiamato “brenta” (e pertanto le esondazioni erano le “brentane”).

Per il toponimo scelto dai moderni amministratori, che farebbe presupporre l’esistenza, da qualche parte, di una “Brenta Nuova”, non trovo altra spiegazione se non che essi abbiano consultato una mappa del 1750, dove viene rappresentato l’alveo – così è indicato – “abbonito della Brentella antica”. Ma allora sarebbe stata decisamente più appropriata quest’ultima formulazione – “antica” –, riferendosi correttamente a qualcosa che era stata e che non esisteva più.

2. Comunque sia, in questa brentella, l’acqua non scorreva, come invece avrebbe dovuto fare nelle intenzioni di chi aveva deciso l’opera. Per la debolissima pendenza, presto il fossato si interrò e l’acqua ristagnava: i documenti cinquecenteschi insistono sulla “mala qualità dell’aria”. Sicché nel 1667 si autorizzò la comunità di Mestre a chiudere a proprie spese il tratto di canale fra i Cappuccini e il monastero di Santa Maria delle Grazie. Ridotto a terreno vacuo, il fondo fu poi comprato a metà Settecento dal Magistrato alle Acque da un nobiluomo Gabriel, che peraltro da quel momento dovette vedersela con le combattive monache di clausura delle Grazie, che arrivate a Mestre a fine Quattrocento e notevolmente ingrandito nel tempo il loro cenobio, avevano interessi nell’area e gli intentarono contro un’annosa controversia confinaria.

C’era dunque un canale, ma c’era comunque già anche una strada, e probabilmente da prima ancora del corso d’acqua. Più che una strada, era una viuzza, un vicolo: una calle, come la chiamavano i mestrini. Era la calle del Pistor, nome che gli derivava dal fatto che all’imbocco nel borgo delle Muneghe, sotto il portico delle case a sinistra della chiesa delle Grazie, in un punto corrispondente grossomodo alla svolta dell’attuale palazzo con il negozio Tim, l’edificio di spigolo sul lato orientale ospitò per almeno un paio di secoli, sicuramente da fine Cinquecento, una pistoria, ossia una bottega di fornaio. A partire da qui la calle proseguiva quasi in rettilineo fino alla “strada commune vien da Ca’ Erizzo”, oggi via Carducci: si tratta dunque in sostanza dello stesso tracciato odierno. Il lato a ponente era delimitato dal muro di cinta dell’orto delle Grazie, addosso al quale sorgevano, a metà circa del percorso, otto casette a schiera di proprietà delle monache – demolite probabilmente negli anni Cinquanta del secolo scorso. Il lato a levante invece era interamente aperto, affacciando la stradina prima sulla brentella e in seguito sul terreno che ne aveva preso il posto.

La chiusura della testata della Brentella antica nel borgo delle Muneghe avvenne dopo il 1784, quando Andrea Zorzi Castelli, proprietario del fondo, ottenne dai Savi Esecutori alle Acque il permesso di costruirvi un edificio.

3. Nelle cartoline di inizio Novecento, si vede bene come il fronte stradale su via Poerio dall’ex chiesa delle Grazie all’angolo con via Olivi sia un allineamento continuo di edifici porticati, stretti nella facciata e che si allungano sul retro con corti, orti e giardini. Nelle mappe catastali ottocentesche si nota come anche allora come oggi su via Poerio insistessero edifici più grandi, più piccoli proseguendo verso via Carducci. Questi ultimi avevano tutti un cortiletto sulla calle, oggi ne sopravvivono solamente tre.

4. Il Novecento inaugura, in corrispondenza con la trasformazione di Mestre in organismo urbano, una nuova fase di profondi mutamenti nell’assetto dell’area, che è tuttora in corso. Nel primo dopoguerra, in fondo all’orto dell’ex monastero, soppresso da Napoleone nel 1807, fu aperta la via Pascoli e costruita la caserma dei Carabinieri, ben visibile in una foto del 1935. Durante il secondo conflitto mondiale, i bombardamenti alleati su Mestre della primavera 1944 causarono notevoli distruzioni anche nell’area di Brenta Vecchia. Probabilmente furono colpiti pure gli edifici sul lato sud di via Poerio, dei quali si provvide in seguito alla demolizione per l’intero tratto fra via Olivi e la calle del Pistor, la quale, da un budello che era, si ritrovò così a fauci spalancate su via Poerio. Sparirono anche le casette delle monache. Alcune foto scattate nei primi anni Cinquanta ci restituiscono del luogo un’immagine di squallore, l’impressione è proprio quella di una zona bombardata da cui siano appena state rimosse le macerie.

Piccone e cazzuola lavorarono di buona lena soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, quelli dell’aggressione alla vecchia Mestre e del sacco edilizio. In questo punto della città, le trasformazioni dell’area si legano al progressivo tombamento del ramo sud del Marzenego e al ridisegno della viabilità del centro. Risale a questo periodo la costruzione dei palazzi bifronti nel tratto nord delle vie Brenta Vecchia e Olivi sul luogo delle demolizioni postbelliche. Nel 1970, infine, sono abbattuti gli edifici da calle del Pistor all’ex chiesa delle Grazie e al loro posto si tira su il moderno palazzo progettato dall’architetto Dimitri Handjieff, al pianterreno del quale si sistemano per primi i Grandi Magazzini Upim, che traslocano da via Rosa, e per ultima la Tim.

Arriva poi il momento della resipiscenza, della volontà di dare a Mestre forma e decoro di città. Ed ecco allora, in anni recenti, i nuovi marciapiedi, la pista ciclabile, il verde pubblico, l’arredo urbano. E infine, l’ambizioso progetto di M9 che, per il momento, ha cambiato il paesaggio in questo modo: ha tolto di mezzo la caserma dei carabinieri e alcuni manufatti nel cortile di Santa Maria delle Grazie, mettendo allo scoperto più cielo; si è mangiato l’aiuola verde con gli alberi e gli arbusti fioriti e le panchine lungo il lato ovest della via, sostituiti da una gialla parete di legno truciolare.

5. In calle del Pistor fu attiva fino alla legge Merlin una casa di tolleranza. Aperto probabilmente durante la prima guerra mondiale per iniziativa degli alti comandi, il “casino” riservato agli ufficiali, mentre il bordello per la truppa era alla Bissuola. Col tempo, la frequentazione fu aperta anche ai civili.

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