Scoprire il passato. Capire il presente. Costruire il futuro.
Questo progetto, nato nel maggio 2013 e concepito come un “photo-blog” di immagini della Mestre che fu, vuole avere l’ambizione di far rivivere negli occhi (e nel cuore) del visitatore spaccati di vita mestrina del ‘900, per capire cos’era Mestre e com’era fatta, quali erano i suoi luoghi, le sue istituzioni, i suoi vanti e come si collocava rispetto a una Venezia che finirà per “inghiottirla” di lì a poco.
Una micro-storia mestrina, gli ultimi 150 anni
L’anno cruciale per Mestre è il 1848. La “sortita di Marghera” del 27 ottobre (preceduta dai moti rivoluzionari del 22 marzo dello stesso anno guidati da Daniele Manin nella città lagunare) porta ad esiti insperati per gli ardimentosi che nella storica battaglia al Ponte della Campana respinsero gli austriaci. Nel 1866 Mestre viene annessa al Regno d’Italia assieme al resto del Veneto, e il 6 marzo 1867 Giuseppe Garibaldi parla affacciato dal balcone del Palazzo in Piazza Maggiore (odierna Piazza Ferretto), arringando la folla accorsa. A ricordo degli avvenimenti del 1848, il 4 aprile 1886 venne inaugurata in Piazza Barche una colonna commemorativa dei caduti nella resistenza del 1848-1849, mentre il 13 novembre 1898 veniva concessa alla città la medaglia d’oro al valor militare.
Nei primi 25 anni del ‘900 Mestre vive la sua epoca d’oro, è Comune, e dal 1923 le viene riconosciuto lo status di “Città” per volontà del Re Vittorio Emanuele III, con tanto di gonfalone cittadino; città vicina a Venezia e strategica da sempre, diversa dalla città lagunare per conformazione, geografia e carattere, ma legata a quest’ultima da un rapporto plurisecolare di servizi e lavoro. In questi anni un’alta borghesia imprenditoriale attiva in città (Berna, Piovesana, Cavalieri, Vallenari, Da Re, Vidal, Paolini e Villani, SADE e diverse Società -anonime e non- giunte da fuori ) da’ vita a una serie di significativi interventi infrastrutturali e di modernizzazione del tessuto cittadino. Nascono le industrie in città, così come nascono quei servizi necessari a farle funzionare bene (Società dei Telefoni – Piazzale Sicilia; Società del Gas – Via Forte Marghera, ecc.). Sono anche gli anni del Conte Volpi, che con il suo progetto di “Grande Venezia” da’ vita al polo industriale di Marghera ed è probabilmente anche a causa del suo intervento pianificatore che Mestre viene accorpata nel 1926 al Comune di Venezia insieme a Zelarino, Favaro Veneto, Chirignago. Si badi bene, in quegli anni un po’ in tutta Italia ci fu una generale riorganizzazione (razionalizzando?) delle strutture comunali e locali, al fine di contenere i costi della macchina dello Stato Regio. Ma questo porta al fatto che Mestre non è più “altra” da Venezia: ne diventa parte, in qualità di nuovo “dormitorio” delle classi operaie che stanno trovando collocamento a Marghera, nelle raffinerie e nelle fabbriche. Caso unico in Italia per dimensioni ed importanza del luogo.
Nel ventennio fascista il Comune di Venezia – e quindi il territorio mestrino – subisce radicali e profonde trasformazioni, nel nome di una generale “modernizzazione” infrastrutturale e sociale. Viene costruito il ponte automobilistico sulla laguna (1933), che nei piani dell’amministrazione doveva collegare Piazzale Roma con l’allacciamento della neonata autostrada Venezia-Padova, il cui casello di accesso si trovava presso l’odierno Piazzale Parmesan a Marghera. Per unire Venezia a Padova venne costruito anche Corso del Popolo (1933 > ), nato “Viale Principe di Piemonte”, moderna arteria cittadina sulla falsariga delle grandi città del Nord Italia come Milano e Torino. Per farlo si interrò senza pensieri un consistente tratto di Canal Salso, da secoli il terminale acqueo delle attività commerciali da e su Venezia.
Poi arrivò la guerra, i rifugi antiaerei in città ed i bunker in Piazza Ferretto.
Nel dopoguerra si consuma la definitiva tragedia di Mestre. Persa l’identità cittadina 25 anni prima, ora cominciano a scomparire anche i luoghi simbolo, per mano di un’amministrazione indissolubilmente legata ad interessi imprenditoriali di privati.
La storia più tristemente famosa, proprio per la sua bruttezza e la radicale azione, è quella della violenza subìta dal Parco di Villa Ponci, come effetto di una lottizzazione selvaggia del 1948 per mano di un geometra, Argenta, che aveva immaginato quello che effettivamente la zona è diventata in seguito. E da qui un’escalation di atti, più o meno selvaggi, di urbanizzazione ed edificazione di nuove aree residenziali, con il cemento degli anni 50 e 60 (Corso del Popolo, piazza XXVII ottobre, Piazzetta XXII marzo, Piazzale Sicilia, giusto per citare i luoghi più noti). In pochi anni Mestre, da piccolo centro di campagna di 20.000 abitanti, si trasformò in una città vera e propria di circa 200.000 abitanti, per merito di un flusso migratorio alimentato tanto dal centro storico di Venezia, quanto dalla campagne circostanti. La crescita demografica divenne vertiginosa a partire dagli anni sessanta, quando alle politiche abitative e del lavoro, che non favorivano i residenti lagunari, si sommarono i disastrosi effetti dell’alluvione del 1966, che mostrò la vulnerabilità delle abitazioni ai piani bassi di Venezia. Sull’onda dell’emigrazione dal centro storico, la massima espansione edilizia e demografica venne raggiunta negli anni settanta, periodo in cui Mestre e la terraferma toccarono i 210.000 abitanti. L’incredibile rapidità dello sviluppo fece sì che questo avvenisse in modo alquanto disordinato e al di fuori di un piano regolatore (è il cosiddetto sacco di Mestre).
Vennero tombinati, ristretti, deviati molti dei suoi navigli. Anche nelle parti più centrali, come in via Poerio (la tombatura del Marzenego), vi fu la costruzione dell’edificio “Cel-Ana” addossato alla Torre, primo simbolo della città, ora demolito, l’interratura del Canal Salso da Piazza XXVII ottobre . Mestre “la città del cemento”, con soli 20 centimetri quadrati di verde per abitante (1980), record assoluto in Italia. In altre parole, un vero e proprio “paradiso” per le Imprese edilizie, magari conniventi o “amiche” dell’assessore di turno.
Negli ultimi 30 anni, si sono susseguiti da un lato interventi di edilizia più responsabile, volta a valorizzare il paesaggio urbano e naturale, ma dall’altro sono andate quasi totalmente in disuso anche le ultime vestigia di una Mestre del passato, come per esempio la “ex” scuola De Amicis, considerata una novità solamente qualche decina d’anni fa. Nello stesso sito della scuola durante gli scavi per la realizzazione delle fondamenta di un nuovo complesso abitativo e direzionale, sono venuti alla luce nel 2010 degli scavi attribuibili alla zona del Castelnuovo in età medievale: una vera da pozzo, delle fondamenta di costruzioni tra cui un torresino, probabilmente sulla direttrice sud delle mura, che dalla Torre dell’orologio correvano al di sotto della sopracitata De Amicis. Questi scavi sono stati totalmente ricoperti, in seguito a catalogazione. Questo è Mestre oggi, in attesa di un suo futuro.
Ed il passato di Mestre diventa interessante se può fare luce su un suo futuro, su un futuro che le restituisca un ruolo che le spetta. Non è pensabile che una città grande come Parma o Catania non “esista” amministrativamente, e che sia parte (nemmeno primaria) di un’altra città, unica al mondo, bellissima, ma altra.
La “città metropolitana” pare aver affossato definitivamente ogni proposta di autonomia amministrativa: tuttavia in questo futuro quadro, che non vieta l’istituzione di ulteriori nuovi Comuni all’interno dell’area metropolitana (cui afferiranno anche Padova e Treviso), Mestre potrebbe ritrovare quello slancio perduto quasi 90 anni fa.
Samuele Schiavon